La legittima difesa
Nella società moderna in cui viviamo, uno dei
fenomeni più importanti, in continua ed incessante crescita, è rappresentato
dall’esigenza di tutela degli individui nella collettività. In un contesto in
cui il terrorismo e la violenza stanno assumendo un ruolo sempre più pregnante,
la necessità di difesa dei singoli si fa sempre di più una costante inderogabile.
L’escalation con cui, nel corso degli anni, si
è passati da forme di aggressione meramente verbali a forme sempre più fisiche,
ha presto messo tutti i governi difronte al problema della tutela, in via
anticipata, dei soggetti, dovendo necessariamente apprestare una risposta
efficace a tutte quelle situazioni in cui la presenza della forza pubblica non
può intervenire tempestivamente per sedare il pericolo.
Ecco, quindi, che il legislatore italiano, in
ultimo nel 2006, ha acconsentito con certi limiti ed a certe condizioni la
tutela privata, che ognuno di noi è legittimato a porre in essere tutte le
volte in cui versi in una situazione di pericolo imminente, dalla quale non
possa utilmente venirne fuori se non affrontando il pericolo stesso.
L’impossibilità per il soggetto di poter
evitare il pericolo, lo mette inevitabilmente nelle condizioni di doverlo
affrontare. Orbene, se a questa situazione di contingenza l’ordinamento
rispondesse punendo colui che non ha potuto far altro che difendersi, si
violerebbero le più basilari regole di giustizia, poste alla base di ogni
civiltà moderna.
Questo è il fondamento delle cd.
Cause di Giustificazione o “Scriminanti”. Queste sono disciplinate dal codice
penale agli artt. 50-54 e, in via residuale, dalla giurisprudenza dei
tribunali. Esse sono sostanzialmente 6 :
1. Il
consenso dell’avente diritto
2.
L’esercizio di un diritto
3.
L’adempimento di un dovere
4.
La legittima difesa
5.
L’uso legittimo delle armi
6. Lo
stato di necessità
In buona sostanza, le scriminanti rendono lecito e quindi
consentito un comportamento che, in astratto, costituirebbe reato.
Prima di poter passare all’analisi della
legittima difesa, che qui ci interessa, occorre fare un rapido passo indietro,
fornendo alcuni cenni sul sistema penale italiano e su come questo disciplini i
reati, al fine di comprendere poi come operino nel concreto le cause di giustificazione.
In generale, Il diritto penale è quel complesso giuridico di norme con cui lo
Stato, mediante la minaccia di una sanzione (pena), proibisce determinati
comportamenti umani (reati) ritenuti contrari ai fini che esso persegue.
Questa dichiarazione
d’intenti da parte del legislatore italiano viene concretizzata nella
predisposizione delle cd. Norme Penali Incriminatrici (il codice penale
e leggi speciali) o, più semplicemente, Reati : essi non sono altro che quelle
disposizioni di legge che vietano un determinato comportamento, minacciando, in
caso di trasgressione, l’inflizione di una pena.
Ogni reato ha una sua struttura, su cui poggia
:
·
Un elemento oggettivo o anche detto Fatto Tipico (composto dalla condotta
che l’agente pone in essere, dall’evento lesivo che questa produce ed,
infine, da un nesso di causalità che ricollega secondo lo schema
“causa-effetto” quell’evento a quella condotta).
·
Un elemento soggettivo o anche detto Colpevolezza (imputabilità, dolo e
colpa che riferiscono psicologicamente il fatto compiuto al suo autore, come
fatto voluto o, almeno, colpevole, secondo un basilare principio di logica, in
sintonia col quale non si può muovere un rimprovero ad un soggetto che non sia
in grado di capire cos’ha fatto)
·
e la cd. Antigiuridicità
(vale a dire la contrarietà all’ordinamento del fatto compiuto dal soggetto
agente).
L’assenza anche di uno solo di questi 3 elementi fa venire meno la
rilevanza penale del fatto. In altri termini, se uno di questi 3 pilastri strutturali
manca, il fatto non è reato e il soggetto non può essere punito, in quanto il reato non è perfetto e strutturalmente non
aderisce alla fattispecie astratta, prevista dal legislatore nella norma penale
che si presume violata.
Per quello che a noi qui
interessa, la presenza di una causa di giustificazione fa venir meno
l’Antigiuridicità del fatto, il quale pertanto resta tipico e colpevole, ma
diviene lecito, perché non più contrario al diritto.
La legittima difesa,
come tutte le altre scriminanti, opera proprio secondo questo schema logico,
rendendo lecita quell’azione che di norma sarebbe reato (percosse, lesioni o
anche morte dell’aggressore).
Ciò
detto, analizziamo nel dettaglio cosa dispone l’art. 52 del codice criminale
alla voce “Difesa Legittima”. Esso recita :
“non è punibile chi
ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale
di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata
all’offesa (comma 1).
Nei casi di violazione di domicilio
sussiste il rapporto di proporzione anzidetto se l’aggredito usa un’arma
legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo, al fine di difendere :
a) la propria od altrui incolumità ;
b) i beni propri o altrui. (comma 2)
Il comma 2 si applica anche nel caso in
cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata
un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale (comma 3).”
Quindi, purché vi sia un
pericolo attuale per un proprio o altrui diritto, derivante da un’aggressione
ingiusta da parte di un terzo, il soggetto aggredito può reagire compiendo in
danno dell’aggressore un’azione che normalmente costituisce reato, sempreché
tale azione sia assolutamente necessaria per salvare il diritto minacciato e
sia proporzionata all’offesa.
In questi termini,
gli elementi essenziali della scriminante in commento vanno così sintetizzati :
-
Requisiti
dell’aggressione : essa deve essere prima
di tutto ingiusta (cioè contraria al diritto) e il pericolo minacciato deve
essere attuale (nel senso che se l’aggressione non viene tempestivamente
neutralizzata, degenera da pericolo a lesione) ;
-
Requisiti della
reazione : necessarietà della
difesa (cioè la reazione deve essere indispensabile per salvare il diritto
minacciato, in quanto l’aggressione si presenta come altrimenti inevitabile) e
proporzione della difesa all’offesa (si deve aver riguardo al rapporto
sussistente tra i mezzi difensivi e quelli offensivi ma, soprattutto, al
rapporto tra gli interessi minacciati dall’offesa e quelli lesi dalla difesa.
Quest’ultimo aspetto è il più importante : si tratta di valutare quale sia il
bene giuridico minacciato –vita, salute, patrimonio– e quello effettivamente
leso dalla reazione dell’aggredito).
Qualche esempio sarà
chiarificatore :
Tizio punta il
coltello alla gola di Caio per prendere il suo posto nella fila di un cinema.
Qui l’aggressore minaccia il bene “vita” dell’aggredito, brandendo
un coltello che è assolutamente idoneo ad uccidere. Pertanto, se Caio è
nell’impossibilità di allontanarsi (supponiamo per via delle sbarre di contenimento
che delimitano le corsie d’aspetto), la sua reazione necessaria e violenta con
cui uccide l’aggressore sarà assolutamente proporzionata (Tizio è armato,
mentre Caio no; Tizio minaccia la vita di Caio, pertanto la reazione di
quest’ultimo che lede il bene “vita” dell’aggressore è in linea col male
minacciatogli).
Tizio, persona bassa e di corporatura esile, agitando animosamente
una bottiglietta d’acqua vuota, minaccia Caio, alto e grosso, di colpirlo se
non gli cede il posto nella fila.
Qui l’aggressore, essendo piccolo ed esile, ha davvero poche
possibilità di attentare al bene “vita” di Caio, ancor più che l’arma
utilizzata è una bottiglietta di plastica, idonea al massimo a creare qualche
lieve escoriazione. In questo contesto, Caio, visibilmente atletico e robusto,
non sarebbe affatto giustificato se uccidesse Tizio, in quanto la sua vita non
è in pericolo. Al più, non potendo allontanarsi per via delle barriere, sarebbe
giustificato laddove si limitasse a reagire sferrando, ad esempio, un pugno a
Tizio in zone non vitali, bilanciando l’equazione bene minacciato –integrità
fisica cioè ferite– con quello effettivamente leso –escoriazioni ed ecchimosi
all’aggressore–.
Tizio, in piena piazza 1° Maggio, minaccia
Caio a mani nude di dargli il portamonete.
In questo caso, se Caio non ha evidenti problemi fisici, è ben in
grado di allontanarsi, potendo evitare che il pericolo diventi lesione, senza
dover per forza aggredire a sua volta il rapinatore. In questo contesto, la sua
reazione non sarebbe affatto necessaria proprio in quanto sarebbe evitabile con
un provvidenziale allontanamento. Così, se per caso sferrasse lo stesso pugno
di cui all’esempio di prima, risponderebbe di lesioni volontarie, non trovando
applicazione la scriminante della difesa legittima (ad un’aggressione
evitabile).
Se invece Caio fosse in compagnia della sua splendida ragazza,
cubista brasiliana, vestita ovviamente con vertiginosi tacchi a spillo e
minigonna, che renderebbero velleitario ogni tentativo di fuga della suddetta,
allora la sua reazione sarebbe necessaria per salvarla. Ciò in quanto, se Caio
scappasse, la sua ragazza non potrebbe fare lo stesso, rimanendo vittima dell’aggressione
di Tizio.
Tizio minaccia di rompere le vetrine del negozio
di Caio se questi si ostina a non volergli sostituire un prodotto
precedentemente vendutogli.
In tal caso, l’aggressione ha per oggetto il bene giuridico
“patrimonio” (vetrina di Caio). Questi, titolare esercente di un’attività, non
potrebbe evitare il pericolo allontanandosi, quindi in qualche modo si vede
costretto ad intervenire. Ora, considerato che la vetrina è un bene mobile di
modesto valore, Caio non sarebbe mai giustificato se estraesse dal sottobanco
il fucile a pompa, legittimamente detenuto, e a sangue freddo sparasse a Tizio,
in quanto non vi sarebbe proporzione tra bene minacciato –patrimonio– e bene
effettivamente leso –vita–. Pertanto Caio, non correndo alcun pericolo di vita,
ma al più qualche migliaia di euro di danni, comunque coperti
dall’assicurazione, sarebbe scriminato, per esempio, dal ben più lieve reato di
lesioni personali se, nel tentativo di accompagnare all’uscita Tizio con la
forza, questi si dimenasse, costringendolo a metterlo a terra e a trascinarlo
fuori di peso.
Ultimo importante aspetto della legittima
difesa consiste nella valutazione da parte del giudice del rapporto di
proporzionalità tra offesa e difesa. In diritto si parla di “prognosi
postuma”, intendendosi quella valutazione che il giudice deve compiere “ex ante
ed in concreto”.
“Ex ante” significa che il giudicante deve
immaginariamente porsi nelle condizioni di tempo in cui il fatto è avvenuto e
non al momento del processo in tribunale, dovendo valutare con gli occhi
dell’aggredito come gli si poteva presentare la minaccia. Questo perché se la
valutazione fosse operata ex post (al momento del processo) non esisterebbe mai
minaccia, bensì aggressione compiuta (lesione) o non compiuta, a nulla rilevando
gli atti di difesa dell’aggredito.
“In concreto”, invece, significa che il giudice
deve calarsi nelle condizioni di luogo e fatto in cui è avvenuta l’aggressione,
considerando quindi ogni elemento presente sul posto.
Anche qui un esempio sarà chiarificatore :
Tizio, nottetempo, s’introduce nella lussuosa villa a 7 piani di Caio,
mentre questi dopo una fruttifera e gioiosa copula con la mogliera, giace beatamente
nel suo talamo nuziale. D’improvviso Caio, svegliato da un rumore prodotto dal
maldestro ladro, si precipita prontamente giù in cucina a verificare cosa stia
succedendo. A quel punto il ladro, armato di una pistola giocattolo, si vede
sorpreso dal padrone di casa e gliela punto contro. Caio, noto anche come
“figlio del vento”, con un gesto felino, impugna un coltello da cucina lì
vicino e lo conficca nel cuore del malcapitato aggressore, uccidendolo
all’istante.
In questo caso, il giudice dovrà mettersi nei panni di Caio nelle
sue stesse condizioni di luogo e tempo, onde poter verificare se in quelle
concrete circostanze la sua reazione si possa considerare proporzionata e
quindi legittima. Dunque, in condizioni di pochissima luce a causa del favore
delle tenebre, unitamente alla paura di trovarsi un uomo apparentemente armato
nella propria cucina, in piena notte, Caio non si sarebbe mai potuto accorgere
che quella pistola, in realtà, era un giocattolo e, quindi, la sua reazione,
come quella di chiunque altro al suo posto, è del tutto legittima, in quanto in
quelle condizioni di luogo e tempo il bene giuridico minacciato appariva
concretamente essere il bene “vita”. Pertanto il giudice dovrà concludere che Caio,
sentendosi fisicamente in pericolo di vita ed essendo tale sensazione
giustificata dalle modalità con cui è avvenuta la rapina in villa, ha legittimamente
reagito attentando giustamente a sua volta alla vita dell’aggressore. Un tanto,
la reazione violenta di Caio che ha ucciso un uomo non armato, all’interno di
casa sua in piena notte, è del tutto legittima, se considerata in concreto, alla
luce delle condizioni di luogo e tempo in cui è avvenuto il fatto e,
soprattutto valutata nell’ottica di quegli istanti, e non in quelli molto più
calmi e sereni dell’aula di tribunale.
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